mercoledì 18 ottobre 2017

Il rumore della vita quotidiana

Ogni mattina inizia allo stesso modo.
Mi sveglio, mi lavo e mi preparo ad un'altra giornata di lezione conscia che tra me e lo scomodo banco di legno dell'aula c'è un tragitto di più di un'ora tra macchina, treno e camminata. Appena arrivo in stazione tiro fuori le mie cuffiette e dopo averle inserite nel cellulare, scrollo un po' la galleria musicale per scegliere il pezzo a cui sento di appartenere di più in quel momento. Con i pensieri isolati in un angolo, zittiti dall'eco assordante degli strumenti, mi avvio verso il binario per attendere il treno e sperare di riuscire a trovare un posto a sedere.
Arrivata sulla banchina mi guardo intorno e cerco di nascondermi dietro agli occhiali da sole, dentro la sciarpa o anche soltanto tra le note della canzone che martella le mie orecchie.
Non esiste nulla intorno a me tranne ciò che sto ascoltando per lunghi minuti che, se scanditi da ritmi, diventano attimi impercettibili e unità di misura. Mi guardo di sfuggita intorno per essere sicura di non star attirando l'attenzione di nessuno, per essere una sagoma invisibile in mezzo alla folla di sconosciuti frementi di salire sul proprio vagone. Il treno arriva e aspetto inerte la discesa dei passeggeri prima di fare il primo passo e cercare un posto libero. Lo trovo, mi siedo e posso finalmente dedicare tutta la mia attenzione a ciò che sento e ciò che mi fa sentire.
Ritorno alla realtà solo nel momento in cui, arrivata già a Bologna, vedo in lontananza una mia compagna e capisco che è tempo di togliere gli auricolari e tornare al rumore della vita quotidiana.

Lisztomania

La lisztomania è comunemente conosciuta come la necessità di ascoltare musica sempre, in qualsiasi momento o luogo ci si trovi. Non penso sia un disturbo realmente diagnosticabile se non più un bisogno di essere capiti quando intorno a noi sembra che tutti parlino una lingua incomprensibile.
Per mesi la musica è stata mia unica compagna, giorno e notte, per sopraffare i pensieri che cercavano di farsi strada nella mia mente e che bloccavano tutto il resto. Sentivo di essere al sicuro in sua compagnia, sentivo di non essere più sola e soprattutto sentivo ciò che non riuscivo ad esprimere, uscire dalla bocca di qualcuno che, dall'altra parte del mondo, era nella mia stessa situazione.
Ci sono canzoni che sembrano leggere dentro la tua testa e riescono a tirare fuori e dare una forma a ciò che pensavi fosse un groviglio di idee inarticolate.
La musica per me non è solo un sottofondo piacevole in macchina o una passione da coltivare, è mia amica; è l'unica che riesce ad afferrare la mia mano quando, in bilico nel baratro della mia mente, sto per cadere.
La solitudine in età adolescenziale mi ha fatto avvicinare moltissimo a ciò che adesso è la mia migliore amica. Non avevo molti amici e il mio tempo lo passavo in casa a leggere o con un cd nel mio vecchio lettore rosso. Piano piano ho iniziato a capire ciò che le canzoni volevano trasmettere, o meglio, ho colto ciò che sentivo mi appartenesse, ciò che avevo sempre pensato ma senza avere le parole per descriverlo.
Sono arrivata ad ascoltare per molte ore al giorno un genere poco amato, ciò che viene descritto come "rumore", ovvero il metal. Più che fastidiosi suoni messi insieme, penso che il metal sia un genere di musica che non viene capito. Spesso parla di temi seri e complicati e ciò che accompagna le parole fa in modo che i sentimenti dell'artista vengano enfatizzati per far arrivare a destinazione il messaggio.
Una canzone non è fatta solo da ciò che fa picchiettare le dita sul banco o muovere i piedi, una parte fondamentale è il testo che, spesso e volentieri, viene ignorato a favore di un ritmo piacente o meno, rendendo vano lo sforzo di colui che ha messo se stesso nero su bianco per far sapere a chi lo ascolta di non essere solo.
La musica è un dono e ha un grandissimo potere ma sta a chi è dall'altra parte cogliere il messaggio.